Patrizia & Antonio
Roma 29 giugno 2017
In questa solennità dei Santi Pietro e Paolo, colonna e fondamento della Chiesa, noi rendiamo grazie al Signore, per il suo amore, per la sua fedeltà; perché Lui per primo si è compromesso con noi, pronunciando il suo Sì. Lui per primo ha scelto, anzi, ha creato e ha scelto, questa umanità, nella prigionia della finitudine del sesto giorno, come sua sposa per sempre.
Questa umanità con la quale entrare in dialogo, con la quale celebrare queste nozze d’amore.
E Dio ha detto Sì a questa umanità, amandola fino allo spreco. Perché l’amore non calcola: l’amore si dà e non attende. Dio ha tanto amato il mondo da far dono del Figlio suo. Poteva salvare il mondo, senza bisogno di sposare la nostra finitudine, con tutti i limiti, fatti di prove, di tentazioni, di persecuzioni, di lacrime, di incomprensioni, di abbandoni, tradimenti, fino al supplizio della croce.
Ma è questo l’amore vero: l’amore che si dà fino allo spreco. Quindi è un amore di più.
Per questo Gesù a Pietro, in quell’ultimo loro dialogo, e in quell’unica volta in cui Gesù dice a Pietro “Seguimi!”, solo una volta, e solo alla fine del Vangelo e solo dopo aver declinato tutta la grammatica dell’amore con Pietro, Gesù gli dice “Seguimi!”
Gesù in quell’ultimo dialogo gli dice: “Pietro, mi ami tu di più?” Perché non esiste altra misura dell’amore che amare “di più”, amare da Dio, come ama Dio, il quale non tiene conto del male ricevuto, il quale con il suo amore tutto copre e tutto scusa, tutto spera, tutto sopporta, il quale vive un amore crocifisso.
E sarà sempre crocifisso l’amore, perché l’amore non è una danza a primavera: questo è l’innamoramento. L’amore è una continua salita sul Golgota del dono di sé, senza esclusione, fino al perdono, fino al perdono.
Come ha scritto Alessandro Manzoni, il quale faceva dire a Fra’ Cristoforo, che incontra Renzo “Fino a quando il tuo amore non diventa perdono nei confronti di chi continuamente ti ha fatto male, il tuo amore per Lucia non sarà vero, sarà passione”.
Così Renzo comprende che l’amore deve diventare un super-dono, per essere vero, e così dal suo cuore, perdona, anche a Don Rodrigo, e libera il suo cuore.
Ecco, oggi Dio con voi, carissimi Patrizia e Antonio, vuole tessere questo dialogo d’amore, e vi chiede: “Mi amate voi, di più?”
Venticinque anni sono una bella scuola, nella grammatica dell’amore, dove avete certamente imparato l’amore di pura perdita. Perché mettere al mondo quattro figli, limitare la propria vita facendo dettare tempi e orari dalla tirannia dei vostri figli, significa davvero amarli di tutto cuore, e amarli di pure perdita, amarli perché essi diventassero e diventino non quello che voi volete, ma quello che Dio ha voluto, per loro, attraverso di voi, perché è da voi che li ha fatti nascere.
E dunque non devono essere a vostra immagine, secondo la vostra somiglianza, ma devono vedere in voi Colui di cui sono immagine, e tendere alla sua somiglianza. Devono vedere in voi quel volto di Dio che si fa amore fino allo spreco, di Dio che non si stanca, come Osea, di richiamare la sua sposa. Un Dio che prima sposa e poi fidanza, perché questa è la teologia dell’amore di Dio: “Ti farò mia sposa per sempre, nella fedeltà e nell’amore, ti fidanzerò a me.”
Quindi dopo lo sposalizio viene il fidanzamento: il fidanzamento come arte di cercarsi, come arte di ritrovarsi, sapendo che è facile perdersi.
Venticinque anni di matrimonio però vi hanno insegnato una cosa: quella preghiera di San Paolo, che nei momenti di grande desolazione voleva mandare tutti a quel paese, da Pietro a tutti i cristiani, e prega il Signore di togliergli quella spina nel fianco. Ma quella spina sono i cristiani, i cristiani e le comunità che lui aveva fondato, fatto nascere, e che non rispondono al suo ideale. E Dio gli dice: “Ti basta la mia grazia. Quando sei debole, allora sei forte. Perché è nella debolezza che tu impari l’amore di pura perdita, e Dio continuerà ad amare in te, per te, al posto tuo, quelle comunità”.
Per questo San Paolo scrive: “L’amore di Cristo mi costringe, o mi spinge (…in greco…) l’amore di Dio mi ha incatenato, mi ha imprigionato. Io non posso più uscire dalla catena di questo amore”.
Ma è un amore così incatenante da essere propulsivo, da essere una spinta in avanti, ad essere sempre più amore.
Adesso, in questi venticinque anni vi siete sforzati di vivere l’amore, di vivere d’amore. Ora, in questa nuova pagina della vostra vita, il Signore vi chiede di essere amore. Essere amore, come Lui, perché solo in forza del vostro essere amore voi ri-nascete alla responsabilità di pascere i vostri figli, che sono quattro; domani, non sappiamo, potranno essere otto, con altri figli acquisiti, e voi chissà.
Ma voi siete chiamati ad essere amore, per poter pascere, nel suo amore, i figli, dati a voi in custodia e in affidamento, fino alla maturità della loro libertà, quando anche loro, come voi, impareranno ad aprire le ali della loro anima, e a volare in alto.
E allora Pietro e Paolo vi siano modelli. Pietro con la sua grammatica dell’amore, con quell’affetto, quell’amicizia che prova per Gesù, anche quando lo ha tradito. Paolo, col suo temperamento focoso, con la sua irruenza, ma con l’autenticità del suo cuore. Paolo che sperimenta la fragilità e pure tutta la forza di Dio, ed è consapevole di aver servito con amore il Signore in quei figli che sono le comunità a lui affidate, e lui stesso dichiara di aver esortato, ammonito, corretto, notte e giorno, tra le lacrime, per poter portare quei figli a capire un po’ la bellezza di essere amati dell’amore di pura perdita da Paolo.
E siccome siamo nella Chiesa delle Figlie dell’Assunzione, Maria vi sia compagna di strada, invisibile madre e sorella, lei che ha imparato, da figlia, l’arte di essere madre, e proprio quando ha maturato la sua maternità si è ritrovata di nuovo figlia: la figlia di Sion.
Vi aiuti Maria a fare della vostra casa un vero paradiso, dove si respira aria di cielo nella carnalità del quotidiano; aria di cielo, perché la nostra anima ha sete, ha bisogno di aprire grandi orizzonti, per respirare Dio, che è intimo a noi più di noi stessi, più dell’aria nei nostri polmoni, più del sangue nelle nostre vene.
Possa allora davvero adesso la vostra famiglia, che è arrivata al sesto giorno, il giorno in cui sono stati creati l’uomo e la donna, possa la vostra famiglia entrare con Maria nel settimo giorno, il paradiso di Dio, fatto solo di amore e libertà.
E così sia
In questa solennità dei Santi Pietro e Paolo, colonna e fondamento della Chiesa, noi rendiamo grazie al Signore, per il suo amore, per la sua fedeltà; perché Lui per primo si è compromesso con noi, pronunciando il suo Sì. Lui per primo ha scelto, anzi, ha creato e ha scelto, questa umanità, nella prigionia della finitudine del sesto giorno, come sua sposa per sempre.
Questa umanità con la quale entrare in dialogo, con la quale celebrare queste nozze d’amore.
E Dio ha detto Sì a questa umanità, amandola fino allo spreco. Perché l’amore non calcola: l’amore si dà e non attende. Dio ha tanto amato il mondo da far dono del Figlio suo. Poteva salvare il mondo, senza bisogno di sposare la nostra finitudine, con tutti i limiti, fatti di prove, di tentazioni, di persecuzioni, di lacrime, di incomprensioni, di abbandoni, tradimenti, fino al supplizio della croce.
Ma è questo l’amore vero: l’amore che si dà fino allo spreco. Quindi è un amore di più.
Per questo Gesù a Pietro, in quell’ultimo loro dialogo, e in quell’unica volta in cui Gesù dice a Pietro “Seguimi!”, solo una volta, e solo alla fine del Vangelo e solo dopo aver declinato tutta la grammatica dell’amore con Pietro, Gesù gli dice “Seguimi!”
Gesù in quell’ultimo dialogo gli dice: “Pietro, mi ami tu di più?” Perché non esiste altra misura dell’amore che amare “di più”, amare da Dio, come ama Dio, il quale non tiene conto del male ricevuto, il quale con il suo amore tutto copre e tutto scusa, tutto spera, tutto sopporta, il quale vive un amore crocifisso.
E sarà sempre crocifisso l’amore, perché l’amore non è una danza a primavera: questo è l’innamoramento. L’amore è una continua salita sul Golgota del dono di sé, senza esclusione, fino al perdono, fino al perdono.
Come ha scritto Alessandro Manzoni, il quale faceva dire a Fra’ Cristoforo, che incontra Renzo “Fino a quando il tuo amore non diventa perdono nei confronti di chi continuamente ti ha fatto male, il tuo amore per Lucia non sarà vero, sarà passione”.
Così Renzo comprende che l’amore deve diventare un super-dono, per essere vero, e così dal suo cuore, perdona, anche a Don Rodrigo, e libera il suo cuore.
Ecco, oggi Dio con voi, carissimi Patrizia e Antonio, vuole tessere questo dialogo d’amore, e vi chiede: “Mi amate voi, di più?”
Venticinque anni sono una bella scuola, nella grammatica dell’amore, dove avete certamente imparato l’amore di pura perdita. Perché mettere al mondo quattro figli, limitare la propria vita facendo dettare tempi e orari dalla tirannia dei vostri figli, significa davvero amarli di tutto cuore, e amarli di pure perdita, amarli perché essi diventassero e diventino non quello che voi volete, ma quello che Dio ha voluto, per loro, attraverso di voi, perché è da voi che li ha fatti nascere.
E dunque non devono essere a vostra immagine, secondo la vostra somiglianza, ma devono vedere in voi Colui di cui sono immagine, e tendere alla sua somiglianza. Devono vedere in voi quel volto di Dio che si fa amore fino allo spreco, di Dio che non si stanca, come Osea, di richiamare la sua sposa. Un Dio che prima sposa e poi fidanza, perché questa è la teologia dell’amore di Dio: “Ti farò mia sposa per sempre, nella fedeltà e nell’amore, ti fidanzerò a me.”
Quindi dopo lo sposalizio viene il fidanzamento: il fidanzamento come arte di cercarsi, come arte di ritrovarsi, sapendo che è facile perdersi.
Venticinque anni di matrimonio però vi hanno insegnato una cosa: quella preghiera di San Paolo, che nei momenti di grande desolazione voleva mandare tutti a quel paese, da Pietro a tutti i cristiani, e prega il Signore di togliergli quella spina nel fianco. Ma quella spina sono i cristiani, i cristiani e le comunità che lui aveva fondato, fatto nascere, e che non rispondono al suo ideale. E Dio gli dice: “Ti basta la mia grazia. Quando sei debole, allora sei forte. Perché è nella debolezza che tu impari l’amore di pura perdita, e Dio continuerà ad amare in te, per te, al posto tuo, quelle comunità”.
Per questo San Paolo scrive: “L’amore di Cristo mi costringe, o mi spinge (…in greco…) l’amore di Dio mi ha incatenato, mi ha imprigionato. Io non posso più uscire dalla catena di questo amore”.
Ma è un amore così incatenante da essere propulsivo, da essere una spinta in avanti, ad essere sempre più amore.
Adesso, in questi venticinque anni vi siete sforzati di vivere l’amore, di vivere d’amore. Ora, in questa nuova pagina della vostra vita, il Signore vi chiede di essere amore. Essere amore, come Lui, perché solo in forza del vostro essere amore voi ri-nascete alla responsabilità di pascere i vostri figli, che sono quattro; domani, non sappiamo, potranno essere otto, con altri figli acquisiti, e voi chissà.
Ma voi siete chiamati ad essere amore, per poter pascere, nel suo amore, i figli, dati a voi in custodia e in affidamento, fino alla maturità della loro libertà, quando anche loro, come voi, impareranno ad aprire le ali della loro anima, e a volare in alto.
E allora Pietro e Paolo vi siano modelli. Pietro con la sua grammatica dell’amore, con quell’affetto, quell’amicizia che prova per Gesù, anche quando lo ha tradito. Paolo, col suo temperamento focoso, con la sua irruenza, ma con l’autenticità del suo cuore. Paolo che sperimenta la fragilità e pure tutta la forza di Dio, ed è consapevole di aver servito con amore il Signore in quei figli che sono le comunità a lui affidate, e lui stesso dichiara di aver esortato, ammonito, corretto, notte e giorno, tra le lacrime, per poter portare quei figli a capire un po’ la bellezza di essere amati dell’amore di pura perdita da Paolo.
E siccome siamo nella Chiesa delle Figlie dell’Assunzione, Maria vi sia compagna di strada, invisibile madre e sorella, lei che ha imparato, da figlia, l’arte di essere madre, e proprio quando ha maturato la sua maternità si è ritrovata di nuovo figlia: la figlia di Sion.
Vi aiuti Maria a fare della vostra casa un vero paradiso, dove si respira aria di cielo nella carnalità del quotidiano; aria di cielo, perché la nostra anima ha sete, ha bisogno di aprire grandi orizzonti, per respirare Dio, che è intimo a noi più di noi stessi, più dell’aria nei nostri polmoni, più del sangue nelle nostre vene.
Possa allora davvero adesso la vostra famiglia, che è arrivata al sesto giorno, il giorno in cui sono stati creati l’uomo e la donna, possa la vostra famiglia entrare con Maria nel settimo giorno, il paradiso di Dio, fatto solo di amore e libertà.
E così sia